Il premio Nobel per la fisica Michel Mayor a chi gli chiedeva di possibili di nuovi pianeti abitabili su cui costruire Piani B per l’umanità, ha risposto: “pensiamo piuttosto a prenderci cura del nostro pianeta che è ancora bellissimo e soprattutto vivibile”.
E’ quell’avverbio ancora che deve farci muovere ora, finchè siamo ancora in tempo.
La Notte di Natale a Torino la colonnina di mercurio ha registrato una temperatura di 17 gradi centigradi, non succedeva da 150 anni, a Mosca non si registrava un dicembre così caldo dal 1886, in Puglia i peri sono già in fiore e Condiretti calcola danni ingenti per questo clima impazzito. I metreologi però ci avvertono che dopo questo gran caldo arriverà il gelo, improvviso. E oramai quando piove non contiamo più i disastri causati da forti e improvvise bonmbe d’acqua.
Il cambiamento climatico cioè non è più una teoria che troviamo dentro i libri, ma è una realtà che sta dentro le nostre vite quotidiane. Che ci sia oggi un’emergenza climatica ed ecologica è un dato di fatto non contestabile. Del resto le rilevazioni della temperatura mostrano negli ultimi cinquant’anni una tendenza all’aumento della temperatura senza precedenti. Ogni cittadino europeo ha ormai esperienza pressoché diretta di eventi metereologici straordinari e spesso catastrofici.
D’altro canto, aumenta la pressione demografica sul pianeta, eravamo circa 2 miliardi nel ’27, adesso siamo 7 miliardi con proiezioni a trent’anni che mostrano che nel 2050 toccheremo i 10 miliardi. Quindi se vogliamo preservare il pianeta e la qualità di vita delle generazioni future serve un cambiamento di paradigma del nostro modello di sviluppo.
Oggi, agire sul contrasto al cambiamento climatico significa mettere in campo politiche in tutti i settori, nessuno escluso.
In primo luogo dobbiamo tutelare quello che ancora abbiamo, difendendo l’ambiente e la biodiversità. Ma penso poi alla sfida dell’energia più pulita e di un’agricoltura più sostenibile, al grande tema della mobilità, con mezzi di trasporto meno inquinanti e infrastrutture più efficienti e integrate, sfruttando al meglio anche i nuovi modelli di mobilità condivisa.
Non meno importante è poi la formazione professionale per creare le nuove competenze che le innovazioni dei processi produttivi e dei modelli di consumo richiedono. Pensiamo all’economia circolare e alla possibilità di impiegare nuovi lavoratori nella trasformazione dai rifiuti a nuova materia prima.
Però, se non vogliamo prenderci in giro, lavarci la coscienza con i bei propositi e poi continuare come se nulla fosse, servono risorse adeguate e decisioni lungimiranti. Gli impegni presi dalla Ue e dalla Commissione devono essere finanziati a partire da un bilancio pluriennale dell’Unione più ambizioso e adeguato alla sfida climatica.
La domanda allora è: che cosa può fare l’Europa? Aumentare gli aiuti del Fondo europeo di solidarietà serve ma non basta più, come non bastano i meccanismi ex post. Non possiamo tutte le volte agire dopo nella conta dei danni. È necessario prevenire gli effetti catastrofici prima. Si deve ripartire da una grande battaglia culturale, prima ancora che ambientale, sul consumo e la difesa del suolo e rimettere al centro il dibattito sulla necessità di una specifica direttiva dell’Unione europea.
Inoltre, le tragedie si evitano se si fanno le opere di mitigazione ambientale: non si aspetta che il fiume esondi ma si costruiscono le casse di espansione e le opere di regimazione idraulica. Ecco perché ho proposto che il piano per gli investimenti sostenibili della Commissione Europea contenga un capitolo ad hoc per la prevenzione idrogeologica.
Ma oggi è arrivato il tempo di aprire una seria discussione sulla possibilità di scomputare gli investimenti green dal calcolo deficit-PIL del Patto di stabilità e crescita. Perché cambiare il nostro modello produttivo significa non solo rispondere a una esigenza vitale per l’ambiente in cui viviamo, ma servirà anche come leva per la competitività del nostro sistema industriale Ecco allora che dobbiamo passare ai fatti mettendo a disposizione più risorse per avere industrie che inquinano meno, per avere mezzi di trasporto più puliti nelle nostre città, edifici con i pannelli solari e prodotti riciclabili e quindi o riparabili o riutilizzabili nelle loro materie prime.
Per questo serve un New Green Deal che sia davvero un nuovo patto per lo sviluppo e per l’ambiente in grado di sollecitare attraverso investimenti pubblici mirati nuovi e cospicui investimenti privati così da mettere in moto in circuito virtuoso che faccia crescere sia l’occupazione sia la tutela ambientale.